Sull’Homo artisticus
- Artificioſa Rota
- 3 giorni fa
- Tempo di lettura: 2 min
di Venator Animarum
Il Superuomo ha già fallito. È tempo di scommettere sull’uomo artistico
Signore e signori,
Signorine e signorini…
abbiamo attraversato il secolo del titanismo prometeico, del dominio della tecnica, della volontà di potenza mascherata da progresso. Abbiamo visto nascere e crollare ideologie intere, tutte nutrite da un sogno malato: quello del Superuomo di Nietzsche. Eppure, oggi possiamo affermarlo con lucidità e senza paura: il Superuomo ha già fallito.
Non ha fallito solo politicamente o storicamente — sebbene le prove di questo siano sotto gli occhi di tutti — ma ha fallito ontologicamente, nel cuore stesso della sua pretesa. L’uomo che voleva farsi Dio, distruggendo ogni trascendenza, ogni legame con l’Essere, ha scoperto alla fine che restava solo la solitudine del nulla. Ha ucciso Dio, sì, ma ha anche ucciso se stesso.
E allora? Che fare, oggi?
È tempo di scommettere su un altro uomo. Non più l’uomo che domina, ma l’uomo che ascolta. Non più l’uomo che impone senso al mondo, ma l’uomo che si apre al Mistero. È tempo di scommettere sull’uomo artistico.
Che cos’è l’uomo artistico? Non è soltanto colui che crea opere, che dipinge o scolpisce o scrive versi. È colui che vede il mondo come un simbolo, che riconosce in ogni forma sensibile il riflesso di una realtà invisibile. È l’uomo che abita poeticamente la terra, come diceva Hölderlin. L’uomo che non vuole spiegare tutto, ma intuire, contemplare, ricordare.
L’uomo artistico è, in fondo, l’uomo connesso con il divino. Non con il Dio morto delle teologie scolastiche, non con l’idea fredda di una divinità astratta, ma con il fuoco vivo del sacro, con quella Presenza che si manifesta nei sogni, nei miti, nelle immagini. È l’uomo iniziato, non perché detenga segreti da custodire, ma perché ha riscoperto la dimensione verticale dell’essere.
Solo l’uomo artistico può salvarci, oggi. Perché solo lui può ricucire lo strappo tra visibile e invisibile, tra tecnica e sapienza, tra mente e cuore. In un mondo che ha idolatrato l’efficienza e ha dimenticato il senso, solo l’arte — e con essa la spiritualità autentica — può riaprire lo spazio del profondo.
Non parliamo di una fuga nel passato, ma di un ritorno all’origine. E non c’è nulla di più rivoluzionario, oggi, che tornare a guardare il mondo con occhi simbolici, con lo sguardo del bambino e del veggente, del mistico e del poeta.
Per questo dobbiamo educare fin da ora non al potere, ma alla visione. Non alla competizione, ma alla contemplazione. Non al dominio, ma alla risonanza.
È tempo di smettere di credere al Superuomo. È tempo di iniziare a diventare uomini artistici. In ognuno di noi abita un’immagine divina che attende di essere risvegliata.
E il futuro — se ci sarà — dipenderà solo da questo: dalla nostra capacità di ascoltarla.
Grazie.

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