di Aurora Perin
L’origine delle Scuole veneziane è duecentesca, nascono per volontà delle Confraternite religiose, in particolare da quella dei Battuti. Quest'ultima era composta da cittadini laici, che percorrevano la città autoflagellandosi, per allontanare da essa il castigo divino, specie nei periodi di peste.
Una miniatura del Trecento mostra i Battuti che percorrono le strade di Venezia. Anche Gentile Bellini, in un quadro del 1496, raffigura una processione di Battuti in piazza San Marco. La tela fu commissionata proprio dalla Scuola Grande di San Giovanni, che voleva ornare con essa l’oratorio della sala omonima.
A partire dal Quattrocento, le confraternite si stabiliscono definitivamente nelle scuole, che vengono divise in “grandi” e “piccole”. Le scuole definite “grandi” erano dedicate ad un santo, le “piccole” erano quelle create da corporazioni (cioè associazioni di persone dedite allo stesso mestiere) o da “nazioni” cioè gruppi di persone provenienti dai paesi esteri.
Un esempio di “SCUOLA PICCOLA” è quella dei “CALEGHÈR”, cioè dei calzolai, in campo San Tomà. La sua facciata è decorata con una serie di lastre marmoree, in cui viene narrata laguarigione di Amiano, un calzolaio egiziano, da parte di San Marco. Altro esempio di “scuola piccola” è quella degli albanesi, dedicata alla Vergine Maria, ricca dei teneri di Vittore Carpacciosulle Storie della Vergine.
Le scuole di derivazione religiosa possedevano spesso ingenti patrimoni e preziose reliquie; in particolare, la scuola grande di San Giovanni possiede ancora un frammento della Vera Croce: il legno su cui fu crocifisso Gesù. La ricchezza di queste confraternite permetteva loro di aiutare tutti coloro che si trovavano in condizioni indigenti o comunque disagiati, infatti esse si occupavano di assistere gli ammalati, creare doti per le fanciulle povere, istruire i figli delle famiglie meno fortunate e di seppellire degnamente i defunti che non avevano potuto permetterselo. Durante le guerre però, le scuole venivano tassate e dovevano fornire uomini per le galee. Il loro compito principale era però la cura dei poveri, a cui venivano donate anche case, definite “domus amor dei” e riconoscibili dal segno del pastorale.
Le scuole erano governate solamente da cittadini del ceto medio (mercanti, orefici, avvocati, notai, ecc..): non dai patrizi, anche se questi ultimi potevano esserne soci. Originariamente le scuole grandi erano cinque, una per ogni zona della città. Erano governate dal consiglio dei dieci e dalla “banca”, cioè un’assemblea di sedici membri. Nel 1521 vengono aggiunti altri dodici membri, detti “zonta” (o giunta, aggiunta).
Tra la fine del Quattrocento e il Cinquecento inizia la rivalità tra le scuole per avere la sede più ampia e bella. La competizione è forte soprattutto tra la scuola di San Giovanni e quella di San Marco.
Nel 1485 un incendio distrugge la sede della confraternita di San Marco.
La ricostruzione richiede 15 anni, per via delle numerose modifiche apportate al progetto. Il disegno originale prevedeva un grande scalone che collegasse il piano terra, in cui doveva essere ricavato un ampio salone e un albergo, cioè una sala per le riunioni ordinarie, al piano superiore, dove si sarebbero trovate la sala capitolare, per le riunioni generali e straordinarie, un altro albergo e la cappella con l’altare dedicato al santo patrono. Nell’assetto finale della facciata, le sale albergo sarebbero giustamente risultate più basse della sala capitolare, in quanto quest’ultima doveva avere maggiore importanza. Nel 1495 il progetto passò nelle mani di Giovanni da Padova e, qualche anno dopo, alla bottega di Pietro Lombardo, scultore e architetto. Un documento del 1488 attesta infatti come il Lombardo abbia fornito pietre al cantiere della scuola di San Marco. Tuttavia la collaborazione con questa bottega fu breve, a causa di numerose controversie sorte con i committenti, che decisero di cambiare nuovamente il direttore dei lavori, chiamando Mauro Codussi. Questi era un architetto bergamasco, che aveva lavorato anche nel cantiere di San Zaccaria. Osservando l’attuale facciata della Scuola Grande di San Marco, si vede che il piano terra è opera di Pietro Lombardo e del suo collaboratore Giovanni Buora, mentre il primo piano è risultato della collaborazione tra il Lombardo e Mauro Codussi. Tuttavia studi recenti hanno attribuito al Codussi tutta la decorazione interna della costruzione.
Il 27 novembre 2013 è stato restaurato il salone terreno della Scuola Grande di San Marco. Gli interventi hanno portato alla luce alcuni dettagli finora nascosti, come i bellissimi rilievi che ornano i piedistalli delle colonne. Questi erano stati eseguiti da Pietro Lombardo e dai suoi figli Tullio e Antonio, i quali, come il padre, avevano una forte propensione all’ornamento. Nell’arco d’ingresso alla scuola è invece raffigurato un putto che regge una cornucopia, un motivo che ricorre anche nell’entrata dell’arsenale e nel portale della chiesa di San Giobbe. Ma la stessa tipologia di putto è presente anche nell’arco trionfale di Tito, a Roma.
Nell’ingresso della Scuola Grande di San Marco sono raffigurati anche alcuni animali, tra cui il pellicano e la fenice. Queste due creature erano molto amate dall’iconografia cristiana del tempo, poiché il pellicano, raffigurato nell’atto di trafiggersi il petto, per nutrire i piccoli affamati col proprio sangue, simboleggiava la passione di Cristo, disposto a morire per la salvezza di tutta l’umanità, mentre la fenice era simbolo di resurrezione. Il mito della fenice, presente già nei racconti sacri dell’Antico Egitto, narra come questa creatura straordinaria muoia ultracentenaria e ricchissima, quando il sole arriva a bruciare il suo nido con i suoi raggi. Ma dopo tre giorni, dalle sue ceneri si forma un uovo, che si schiude sotto i raggi del primo sole, dando vita ad una nuova fenice. Questo mito fu associato alla resurrezione di Cristo, dopo i tre giorni dalla morte. Ma la sua associazione con la divinità è data anche dal fatto che il corpo della fenice, come quello di Cristo, non si corrompe con la morte. Inoltre, il fatto stesso della rinascita continua è legato alla vita eterna. L’associazione del pellicano con il sacrificio per salvare altri, in contesto laico, l’ha fatto invece diventare il simbolo dei donatori di sangue. Una fenice e un pellicano sono presenti nella Cappella Corner, all’interno della Chiesa dei Santi Apostoli, a Cannaregio e un pellicano è raffigurato nella facciata di palazzo Loredan, sempre a Cannaregio, per testimoniare il sacrificio che Andrea Loredan, committente della costruzione, fece nella battaglia di Agnadello.
Nella facciata della Scuola di San Marco è invece rappresentata la guarigione di Amiano e il suo battesimo da parte di San Marco. Le figure sono opera di Tullio Lombardo, grande conoscitore di figure antiche e figlio del famoso Pietro. E’ probabile che, per la tecnica esecutiva, egli si sia ispirato a quella usata nell’Ara Pacis augustea, a Roma. Infatti le decorazioni dell’altare romano sono figure realizzate a tutto tondo, a rilievo e a mezzo rilievo. Pietro Lombardo, per decorare le paratie laterali della scuola di San Marco, potrebbe essersi ispirato invece al finto coro realizzato da Donato Bramante in Santa Maria di San Satiro, a Milano. Ma il figlio Tullio reimpiegò la stessa architettura in maniera ancora più geniale. Guardando lo scalone d’accesso al primo piano, si capisce che aveva una funzione fondamentale. Lungo la gradinata, in alto, è presente la scritta, in latino, “una scala ascendeva, un’altra discendeva” riferimento alla visione di Giacobbe, descritta nella Bibbia.
Nella sala “albergo” della scuola di San Marco era presente un quadro di Gentile e Giovanni Bellini, realizzato tra il 1504 e il 1507, rappresentante l’omonimo santo in atto di predicazione ad Alessandria D’Egitto. L’opera è oggi esposta alla pinacoteca di Brera.
Le scuole competono in maniera diversa, a seconda del loro spazio urbano.
La scuola di San Giovanni Evangelista è situata in un contesto abitativo che la nasconde quasi alla vista, mentre quella di San Marco si trova in uno spazio più ampio. Ma la scuola di San Giovanni presenta una TRANSENNA, che delimita il cortile, creando uno spazio distaccato dalla città. Le finestre della sala capitolare sono gotiche e presentano, al centro, un rilievo raffigurante San Giovanni adorato da due apostoli. A San Giovanni i confratelli decidono di investire in un atrio monumentale e commissionano uno scalone a Mauro Codussi. La sala terrena è ancora l’originale, risalente al periodo tardo-medievale. Non è ancora stato possibile, invece, stabilire chi abbia realizzato la transenna del cortile; tuttavia una targa, sul retro di essa, recitante “a spese dei costruttori e dei confratelli, 1481” definisce almeno una data per la fine dei lavori. Un documento del 1340 fa riferimento ad una “PORTA MAGNA” di legno; forse un primo progetto della transenna. Oggi, i marmorini di essa e del cortile, rifatti negli anni Ottanta del Novecento, versano in cattive condizioni e necessitano di restauro. Comunque, l’ignoto architetto della transenna è riuscito nell’obiettivo di misurare, tramite l’ordine architettonico di losanghe e capitelli corinzi, uno spazio urbano come quello del cortile della scuola di San Giovanni. In particolare, colpisce l’uso della decorazione : gli invasi sono circondati da uno zoccolo decorato con rosette, tutte di forma diversa. I capitelli delle lesene sono tutti diversi : in quello di San Giovanni vi sono tre spighette. Le finestre, inoltre, sono ad edicola anche se l’altezza del timpano è eccessiva. Però, può essere che chi l’ha scolpito si sia ispirato all’affresco che raffigura l’incontro di Maria ed Elisabetta, sotto una volta. Le punte dell’arco raffigurato sono alte, perché l’affresco si trova sulla volta. Quanto all’ingresso, si sta ora ipotizzando che sia stato ideato da Mauro Codussi e realizzato dalla bottega dei Lombardo. Inoltre si pensa sia stato Codussi a voler ispirarsi al “barco” (cioè il luogo di preghiera dei monaci) della Scuola Grande di San Marco per realizzare l’atrio di quella di San Giovanni Evangelista. Quindi la scuola di San Giovanni imiterebbe le nuove idee impiegate in San Marco. Nel 1495 Mauro Codussi venne licenziato, per termine dei lavori, dalla scuola di San Marco e, quello stesso anno, il consiglio dei dieci di San Giovanni decise di realizzare lo scalone. Nel 1498 Codussi risulta iscritto alla scuola, senza pagamento, in quanto impegnato nella realizzazione dello scalone. Inoltre una lettera di quegli anni riporta la richiesta dei confratelli di una scala come quella di San Marco. Vi sono però delle differenze, nei terreni in cui sorgono le due scuole e Mauro Codussi riuscì a sfruttare le asperità presenti in quello di San Giovanni, per reinterpretare in maniera geniale l’architettura dello scalone. Questo presenta infatti una luce media in tutta la lunghezza della rampa e un trionfo luminoso, dato dall’apertura di una bifora, nel pianerottolo sommitale. Quest’architettura è determinata però anche dalla funzione processionale e simbolica che la scala e la luce devono ricoprire nella vita dei monaci. Lo scalone veniva infatti percorso in uscita e in entrata dai confratelli che portavano la reliquia della Vera Croce. Era quindi uno spazio autorappresentativo.
Nel 1929 vi è l’ultima processione monumentale della reliquia. Verrà ripresa solo nel 2011, in occasione del centenario. Da allora, è effettuata ogni anno.
Lo scalone viene detto anche “tribunale” perché così veniva chiamato il trono dell’imperatore, che veniva esposto come una reliquia.
La bifora “cattura luce” viene ripresa poi anche nei palazzi Loredan e Lando.
Nel 1517 viene aperto il cantiere di San Rocco e l’architetto, Pietro Bon, copia nelle finestre del primo piano la bifora di Mauro Codussi. Anche lo scalone di San Rocco viene ripreso dai modelli di San Marco e San Giovanni. Tuttavia, in seguito, viene modificato. Insomma, la rivalità tra le scuole si giocava nei modelli che ognuna di esse sceglieva per le proprie architetture. Anche oggi, le scuole non si considerano più sorelle, ma avversarie.
La scuola di San Giovanni sta attualmente restaurando il suo campanile, colpito la sera del 30 maggio 2016 da un fulmine che l’ha passato da parte a parte. La struttura è stata puntellata con pali di legno e acciaio per impedire eventuali crolli. E’ stato montato anche un tetto antifulmine, costato trecentodiecimila euro. Ma vi sono anche altri elevati costi da sostenere e non è facile reperire i fondi necessari.
La storia della scuola presenta ulteriori vicissitudini, la cui soluzione non è sempre stata facile. Nel 1806 infatti, quando Napoleone aveva ordinato la chiusura di tutti gli esercizi legati al culto cattolico, anche la Scuola Grande di San Giovanni era stata costretta a serrare i battenti, subendo per di più il furto della reliquia della Vera Croce da parte dell’esercito francese. In seguito, era stata recuperata da un confratello, Bruno Andrighetti. Purtroppo, egli non aveva eredi e, alla sua morte, la reliquia passò alla famiglia Zon. Nei primi anni del Novecento passò alla famiglia Loredan-Croato, che la cedette infine ai Marcello. Nel 1929 il patriarca Pietro Floran fece riaprire la scuola e intimò la restituzione della Croce. Finalmente, dopo la firma dei Patti Lateranensi e un lungo processo, la sua richiesta fu esaudita e la preziosa reliquia tornò ai legittimi proprietari.
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