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La mela terrestre, ovvero il primo mappamondo della storia


di Giacomo Cordova


"Erdapfel": lo chiamarono proprio così, Il pomo terrestre, e fu da subito palesemente un’opera di genio, frutto di quell’albero artisticamente e inventivamente rigoglioso che fu il Rinascimento internazionale.

Nacque dalla mente di un esploratore boemo, tale Martin Behaim (Norimberga 1459 – Lisbona 1507): uno studioso appassionato di economia, astronomia, geografia e cartografia, dedito anche ad una coraggiosa vita activa, armonizzata da navigazioni ed esplorazioni.



Discepolo di Johannes Müller da Königsberg, l’illustre astronomo e matematico meglio noto come il Regiomontano, fu presto accolto presso la corte del sovrano portoghese Giovanni II “Il Severo”. Molto attivo in Portogallo infatti, sia a livello commerciale, seguendo gli affari con le Fiandre per le quali era stato appositamente commissionato, sia a livello scientifico e tecnico, fu lui ad introdurre il quadrante, strumento fondamentale per l'orientamento, che aveva la funzione di misurare l’altezza degli astri sull’orizzonte, e quindi la posizione dell’osservatore sulla terra, secondo la descrizione che ne fece già lo studioso ebreo Levi ben Gerson durante il XIV secolo.



Sempre Behaim perfezionò l’astrolabio, un altro strumento utilissimo ai naviganti, un oggetto di antica origine ellenistica, reintrodotto in Europa grazie agli Arabi.



Nel 1484 fu designato per i suoi meriti verso la corona ad essere il geografo della spedizione africana di Diego Cão, dalla quale ritornò cavaliere, arricchito di un viaggio esplorativo spintosi fino a Cabo Ledo, in Angola.

In seguito a diversi altri viaggi ed una permanenza nelle Azzorre, ritornò nel 1491 nella sua Norimberga, città capitale del Rinascimento tedesco.

Fu qui che nel 1492, poco prima che Cristoforo Colombo scoprisse il “Nuovo Mondo”, costruì il nostro celebre primo globo terrestre, attualmente custodito presso il Germanisches Nationalmuseum, allo stesso piano dove sono custodite alcune opere di Albrecht Dürer.




Questo oggetto, che è a tutti gli effetti un'opera d’arte oltre ad essere un prezioso strumento protoscientifico, riassume magistralmente su schemi geografici più o meno reali la concezione secondo la quale era vista la terra sino ad allora, secondo i numerosi antichi portolani e la descrizione visionaria che ne diede papa Sisto IV, con l’aggiunta dei meridiani e della linea equatoriale.

Arricchito di disegni fantastici, leggende e miti, che potrebbero portare alla memoria i racconti dei Viaggi di Marco Polo, rappresenta una sintesi mirabile di quali fossero le conoscenze dello spazio geografico dell’epoca: piuttosto approssimative e sproporzionate, e ricche di elementi ancora surreali, frutto della fantasia e della curiosità dell’uomo alla fine del medioevo. L’uomo infatti, ponendosi al centro dell’universo, cercava da secoli di scoprire quali fossero i reali confini della terra, forse anche per superarli, dominando la natura con quell'atteggiamento proprio da "homo faber", figura che tanto caratterizzò il Rinascimento.

Escluse le Americhe, conosciute solamente in seguito al ritorno di Colombo nel mese di marzo dell’anno 1493,  sul globo compaiono il continente eurasiatico, piuttosto esteso e deformato rispetto a quello reale, e un’area vuota tra l’Europa e Asia nella quale è collocato l’Oceano. Anche le isole dell’Asia estremo orientale, fra le quali il Giappone, sono rese sproporzionatamente grandi.

Fra le numerose raffigurazioni inoltre, prodotto della fantasia creativa dell’artista Georg Glockendon, compare anche l’isola immaginaria di San Bernardo, sotto l’iscrizione "Insula de Sant Brandon", luogo inventato dove sarebbe sbarcato il monaco irlandese Berdano di Clonfert nel VI secolo, durante una navigazione attorno alle coste europee.



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