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Dal ritratto alle caramelle. Alcuni modi per rappresentare l’uomo.


di Carolina Guasina



Citando Wikipedia alla sezione Ritratto troviamo: “Il ritratto è in generale ogni rappresentazione di una persona secondo le sue reali fattezze e sembianze: propriamente si riferisce a un’opera artistica realizzata nell’ambito della pittura, della scultura, del disegno, della fotografia o anche, per estensione, una descrizione letteraria di una persona.”

Fare una carrellata di come venga trattato il ritratto nella storia dell’arte dalle origini fino alle ultime manifestazioni è quantomeno impegnativo e questo non è il nostro scopo. L’intenzione è invece quella di vedere alcuni esempi in cui l’uomo è protagonista pur non essendo ritratto in modi convenzionali, come per esempio potremmo vedere nei ritratti fiamminghi, realizzati dal tedesco Hans Memling oppure in quelli rinascimentali, come in Piero della Francesca, seguendo quindi una rappresentazione fedele, celebrativa e ideale del soggetto.



Il ritratto, o più in generale la pittura di figura, ha una storia molto lunga e se volessimo soffermarci solo all’ambito dell’arte contemporanea potremmo riscontrare che sono avvenuti molti cambiamenti rispetto al passato. In tutta la storia dell’arte troviamo dei movimenti implosivi ed esplosivi (per citare il noto critico Renato Barilli), che implicano un’oscillazione dal punto di vista della raffigurazione, da una tendenza mimetica e referenziale ad una deformante e perfino astraente. Sappiamo per esempio che con l’avvento delle Avanguardie storiche nei primi decenni del Novecento, il modo di dipingere, i soggetti e il rapporto tra artista e opera cambiamo notevolmente. Volendo fare solo qualche esempio per noi significativo, si potrebbe partire analizzando l’opera di Henri Matisse, La Danza, (1909-10, olio su tela, 260×391 cm, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage) dove la figura umana è ormai solo segno ed essenzialità, tutti i dettagli sono spariti per dare rilievo alla cosiddetta joie de vivre tipicamente matissiana, corroborata dalla cromia molto accesa e primaria.



Passando all’espressionismo tedesco della Brücke, possiamo constatare che la figura umana subisce una deformazione violenta, sia morfologica che cromatica, da parte dell’artista, il quale sfoga su di essa i suoi disagi e tormenti, avendo perso la fiducia ontologica che era ancora propria dei movimenti precedenti. Un esempio è Marzella di Ernst Ludwig Kirchner (1910).



Andando oltre possiamo analizzare un’opera del periodo cubista, come il Ritratto di Ambroise Vollard(olio su tela, 92×65 cm, 1909-1910). Qui il personaggio è rappresentato attraverso la tipica morfologia geometrica e discontinua di Picasso, che spezza la figura in “cubetti” e sfaccettature sovrapposte; tuttavia non può fare a meno dei tratti fisionomici dell’uomo, che si mostrano in modo riconoscibile.



Marcel Duchamp cambia le carte in tavola. Tutta la sua opera è votata all’idea, al noumeno kantiano e il “fatto a mano” lascia il posto al ready-made. Anche lui però, pur utilizzando oggetti lontani dalla pittura e dal ritratto, dà vita ad una sorta di uomo elementare, composto da una ruota di bicicletta rovesciata posta su di uno sgabello; è la Ruota di bicicletta del 1913, in cui la ruota rimanda ad una testa e lo sgabello ad un corpo stilizzato.



Se ora facciamo un balzo in avanti di qualche decennio, troviamo l’artista Armand Pierre Fernandez, noto come Arman, membro del gruppo Nouveau Réalisme. Egli era solito inserire nelle sue tele strumenti musicali infranti, ma una parte del suo lavoro fu basato sulle accumulazioni di oggetti come di scarpe, monete, orologi, pennelli, tubetti di colore ed altro. Proprio su quest’ultimo punto vorremmo soffermarci, perché Arman mostra l’uomo senza rappresentarlo, l’uomo c’è ma allo stesso tempo non si vede.



L’uomo non è presentato come siamo abituati a vederlo, neppure deformato o scomposto. C’è, attraverso gli oggetti che usa quotidianamente, come i guanti da lavoro, o le caffettiere.



Questo modo di rappresentare l’uomo è innovativo e tipico del clima Novorealista degli anni ’50 e ’60. Altro esempio in cui il problema ontologico è presentato solo attraverso l’uso di oggetti potrebbe essere l’opera, che potremmo dire metafisica, di Tino Stefanoni, un Senza titolo che presenta un cappello appeso ad un attaccapanni, in una silenziosa attesa, immobile lì dove è stato lasciato, forse con un gesto veloce e distratto.



Per chiudere questa carrellata di uomini presenti ma assenti vogliamo mostrare un’opera fondamentale dell’artista cubano Félix González-Torres, una accumulazione di caramelle chiamata Untitled (Portrait of Ross in L.A.). 79kg di caramelle colorate, accatastate in un angolo di un museo. Verrebbe da chiedersi se questa è arte, che cosa rappresenti. Bene, essa è una delle testimonianze d’amore più struggenti e dolorose della storia dell’arte contemporanea, perché rappresenta l’amore di Torres, Ross appunto. È, il loro, un amore omosessuale, afflitto e purtroppo diviso dall’AIDS, e il peso (79kg) delle caramelle è lo stesso di Ross prima della sua dipartita.



La cosa sconvolgente di quest’opera è che noi possiamo prendere una caramella e portarla via. L’artista cubano raffigura quindi uno spazio di intersoggettività, lo spazio dei rapporti umani. L’aura dell’opera d’arte si è spostata verso il suo pubblico, crea attorno a sé una collettività istantanea di spettatori-partecipanti. Lo scopo è coinvolgere intellettualmente lo spettatore, informarlo, provocarlo. Dice Torres: “Io ho bisogno dello spettatore, dell’interazione del pubblico. Senza pubblico i miei lavori sono nulla. Il pubblico completa i miei lavori: gli chiedo di aiutarmi, di prendersi una responsabilità, di diventare parte del mio lavoro, di unirsi a me”.

E aggiunge: “L’amore ti dà una ragione di vita, ma è anche un motivo di panico, si ha sempre paura di perdere quell’amore.(…) Freud ha detto che mettiamo in scena le nostre paure per diminuirle. In un certo senso questa generosità -il rifiuto di una forma statica, della scultura monolitica, a vantaggio di una forma fragile, instabile- era un modo per mettere in scena la mia paura di perdere Ross, che scompariva a poco a poco davanti ai miei occhi.” L’uomo ormai non c’è più, ma resiste nell’amore, nel sentimento, nella memoria e, per noi spettatori, nell’arte.

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